Una nuova regolamentazione del settore delle cave nella regione Sicilia che andrà a modificare le norme che regolano il comparto, ferme ormai a più di 40 anni fa
Un nuovo articolato che impatterà sull’attività dei professionisti che operano con le cave che, in particolare in Sicilia, chiedevano da tempo un nuovo testo su cui far riferimento. E’ quanto prevede un disegno di legge presentato all’Assemblea regionale siciliana quasi un anno fa e in questi giorni in discussione nella commissione attività produttive. Questa dovrebbe essere la volta buona per una vera approvazione, visto che il testo è condiviso sia dal Pd che da Forza Italia.
Tra le principali proposte inserite nel disegno di legge, c’è un allungamento dei tempi delle concessioni, da 15 a 20 anni, la ridefinizione e la sistemazione dei canoni, con un passaggio sulla possibilità di ottenere concessioni in terreni di cui non si è proprietari (tra le proposte in discussione in commissione c’è quella di inserire un canone per questa facoltà). Per quanto riguarda i canoni, la discussione è in atto, visto che sono molte le proposte emendative presentate sul tema. Ricordiamo che nel 2013 il governo Crocetta aveva inserito l’onere per i titolari di concessione di pagare alle regioni e ai comuni nel cui territorio si trovava la cava una somma che tenesse conto non solo della quantità di materiale estratto, ma anche della tipologia e, di conseguenza, del suo valore economico. La norma fu poi modificata nel 2016, quantificando il canone in base alla superficie e al volume della cava, cosa che aveva scatenato le proteste di alcuni operatori del settore, in particolare contro gli estrattori del marmo, che sarebbero stati particolarmente avvantaggiati da questa previsione. Ora, alcune proposte di modifica del ddl prevedono di tornare al vecchio sistema definito da Crocetta, con un conseguente impatto economico-finanziario sul settore e sui professionisti interessati.
La situazione delle cave in Sicilia, come detto, è regolata in maniera obsoleta: la normativa complessiva del settore è degli anni ’80 e da anni imprese e professionisti chiedono una definizione di regole precise e al passo con i tempi. Un’altra organizzazione che chiede un cambio di rotta alla regione Sicilia è Legambiente, che lo scorso 16 giugno ha pubblicato il “Rapporto cave 2021, focus Sicilia”. Secondo quanto emerge dal rapporto, sono 442 le cave autorizzate ad operare nell’isola, mentre sono 245 quelle dismesse, ossia che hanno terminato l’attività estrattiva e devono vedere quindi il completo ripristino ambientale dei luoghi. La Sicilia, dunque, si pone al vertice in Italia per numero di siti estrattivi, seguita da Veneto, Puglia, Lombardia, Piemonte e Sardegna. Per quanto riguarda la normativa, Legambiente ricorda come la Sicilia faccia parte di quelle regioni dove non è previsto nessun piano di recupero per le aree di cave abbandonate, ossia di quei siti che hanno chiuso le attività prima dell’intervento normativo da parte delle regioni, per le quali “sarebbero necessari un censimento ed una conseguente riqualificazione ambientale, nonostante la probabile rinaturalizzazione spontanea di molti di questi luoghi”, secondo l’opinione di Legambiente.
In positivo va sottolineato come nell’isola si preveda invece l’obbligo del recupero contestuale dei siti estrattivi. “La Sicilia”, si legge ancora nel report, “non mostra sanzioni particolarmente elevate in caso di illeciti, soprattutto se si pensa ai gravi danni ambientali generati. Per la coltivazione illegale l’ammenda è di €20.710, con aggravanti in caso di recidiva”.
Un altro aspetto sottolineato da Legambiente riguarda l’abusivismo; dal 2016 al 2019 sono stati effettuati 22 sequestri di cava nella Sicilia orientale. Da qui, le principali proposte di Legambiente per regolamentare il settore, ovvero una lotta serrata all’illegalità, con un conseguente aumento delle sanzioni, un’implementazione del riciclo “per creare più posti di lavoro e chiudere le cave”, in particolare con l’investimento in formazione delle stazioni appaltanti, dei tecnici e dei lavoratori. “Anche un cambiamento nell’approccio progettuale sarà decisivo per ridurre il prelievo da cava e l’utilizzo di discariche per i materiali scavati, con enormi impatti nei territori, unitamente a quelli per il trasporto. La sfida è soprattutto culturale, perché non esistono più ragioni tecniche o normative ad impedire l’utilizzo di materiali provenienti dal riciclo”.