In Cdm il nuovo testo, che modifica una norma di sei anni fa. Uno schema visto più volte negli ultimi anni
In Italia fai una riforma epocale, passi anni a cercare di attuarla e a interpretarla, poi ti rendi conto delle moltissime problematiche causate dal testo e intervieni per una ulteriore modifica. È quanto successo con il codice degli appalti, da poco approvato in Consiglio dei ministri, ma è uno schema che si ripete con tutte le grandi riforme di sistema approvate in Italia negli ultimi anni. Come non citare, ad esempio, il codice della crisi, un cambiamento totale delle procedure di insolvenza che ormai da anni subisce modifiche su modifiche prima ancora di essere entrato in vigore del tutto. O anche la riforma del terzo settore, attesa ormai come una chimera, o quella dello sport, che subisce modifiche e proroghe da tre anni a questa parte.
Con il codice degli appalti, però, si è raggiunti la sublimazione massima di questo concetto. Come molti sapranno, nel 2016 è stato approvato il dlgs 50/16 che aveva introdotto, appunto, il nuovo codice degli appalti. Un’opera mastodontica, fatta di più di 200 articoli e 25 allegati, che andava a rivoluzionare completamente il settore. Fin dal giorno della sua approvazione, però, l’articolato ha subito pesanti critiche, in particolare per la farraginosità di alcune misure e, in generale, per una confusione normativa che rischiava di creare più problemi di quanti ne avrebbe risolti.
Da subito, quindi, le organizzazioni toccate dalla normativa hanno avanzato richieste di modifica al testo. E le difficoltà riscontrate hanno portato addirittura a inserire tra gli obiettivi del Pnrr una revisione del codice appalti. Quindi, nel 2020, una delle più importanti esigenze italiane, tanto importante da inserirla nel più ambizioso piano di sostegno economico dai tempi del piano Marshall, è la revisione di una norma approvata 4 anni prima! Quando si parla di mancata crescita del paese, di difficoltò burocratiche che bloccano il sistema, si parla di questo. Di norme approvate dal legislatore che impegnano professionisti e operatori del settore, che per anni faticano a interpretare bene cosa dica la normativa e che poi si ritrovano con un nuovo testo, sempre corposo e complicato (anche qui più di 200 articoli su cui, di certo, sorgeranno difficoltà interpretative). Non è colpa di un governo in particolare, l’esecutivo Meloni ha approvato il dlgs attuativo della delega approvata a giugno dal governo Draghi su lavori iniziati quando c’era il governo Conte, e questo lascia ancora meno speranze: perché se tutti i governi hanno un comportamento simile significa che proprio il sistema porta ad avere questi atteggiamenti. Quindi, sarà difficile immaginare cambiamenti in futuro.
Intendiamoci, le modifiche erano necessarie, ci sono dei passaggi che potrebbero essere molto positivi. In particolare, quello sulla tutela dei compensi professionali: il testo dice chiaramente che non è permesso il lavoro gratuito, quindi non dovrebbero più presentarsi bandi pubblici in cui non è previsto il compenso del professionista. Anche qui, però, bisogna vedere come saranno applicate le norme; in Italia esiste l’equo compenso già dalla fine del 2017, eppure i bandi pubblici senza compenso sono stati emessi lo stesso. Tanto che è in discussione (da anni!) una proposta di legge che mira a riformare l’equo compenso. Quindi, una proposta che mira a cambiare una norma introdotta a fine 2017. Ricorda qualcosa?