La riforma del fisco, quella della giustizia, gli appalti, il Csm, lo sport e lo spettacolo, solo per citare alcune deleghe. A queste si aggiungono la riforma della giustizia tributaria e la concorrenza. Tutti provvedimenti fondamentali per il Pnrr, i cui finanziamenti sono vincolati alla realizzazione di alcune riforme. Per non parlare, poi, dell’implementazione del Piano stesso e della prossima legge di bilancio, decisiva per il futuro del paese. La crisi di governo rischia di far saltare tutto questo, ovvero almeno una decina di riforme di cui si discute da anni. Siamo ormai abituati agli avvicendamenti tra governi (se ne contano quasi 70 in 18 legislature), ma mai come quest’anno la caduta dell’esecutivo potrebbe portare grossi problemi e rappresentare un’occasione persa per cambiare molti aspetti normativi del paese.
Di certo, neanche è molto normale che un governo a scadenza, tra l’altro a guida tecnica (anche se squisitamente politico, basta guardare i ministri) riformi mezzo paese con una serie di decreti attuativi in sei mesi. Già prima della crisi, infatti, Draghi e compagni avevano un’agenda molto fitta e si palesava il rischio concreto che molte delle deleghe approvate non venissero poi attuate. La giustizia, sia civile che penale, pare in dirittura d’arrivo, almeno da quanto affermato da vari esponenti del governo. Sul fisco, invece, si è appena giunti ad un accordo; perciò, la finestra è davvero stretta visto che le elezioni, in teoria, si dovrebbero svolgere a marzo. Le deleghe su spettacolo, Csm e appalti sono state approvate nell’ultimo mese e andrebbero a riformare profondamente i vari ambiti toccati, con molti decreti attuativi da pubblicare, tutti su argomenti divisivi.
Molte riforme, come detto, sono necessarie per rispettare gli impegni presi con il Pnrr. Ovviamente questo è un grande problema e un ritardo potrebbe avere delle conseguenze, ma forse non è l’unico risvolto negativo di questa crisi. Si tratterebbe, infatti, soprattutto di un’occasione persa; senza entrare nel merito dei provvedimenti, alcuni condivisibili altri molto meno (anche se parlando di deleghe si tratta nella maggior parte di casi di criteri e requisiti, non di norme effettive), il governo era pronto a riformare settori che da anni richiedevano un intervento, con obiettivi e ambizioni corrette (la loro traduzione in norme, poi, è un altro discorso, visti i tanti provvedimenti partiti con intenti condivisibili che poi hanno invece portato più difficoltà che altro). Un’occasione persa di cambiare una parte di paese, tra l’altro con un governo fatto dalla quasi totalità delle forze politiche (tutte tranne Fratelli d’Italia).
Un ultimo appunto, infine, sulla causa scatenante la crisi, ovvero l’inceneritore. La perfetta rappresentazione di due grandi problemi italiani: un sindaco ha bisogno di una legge dello stato per fare un inceneritore, perché le norme in vigore sono così complicate che nei cinque anni di consiliatura non farebbe in tempo neanche a far partire il progetto. Il secondo è che un partito perde una competizione elettorale, come successo a Roma, e non accetta che l’altro prenda una decisione diversa su un aspetto strategicamente fondamentale per la città come la raccolta rifiuti. Burocrazia e ostruzionismo politico che bloccano il paese.