La manovra
Il varo della prima Legge di Bilancio, per ogni nuovo governo, rappresenta un momento di enorme importanza. Il consenso e la fiducia di cui gode, di solito, un esecutivo appena insediato, e la maggioranza parlamentare che compensa le naturali divergenze, destinate comunque ad emergere, con la compattezza dei primi mesi, sono elementi che consentono di utilizzare la prima manovra per impostare la propria politica economica e dare al paese un forte segnale sul percorso che si intende seguire per promuovere sviluppo e crescita. È stato così, ad esempio, per il primo Governo Conte, a dicembre del 2018 ha adottato due provvedimenti di spesa – quota cento e Reddito di Cittadinanza – che segnavano allora una radicale inversione di rotta rispetto alle politiche di austerità (tagli alla spesa pubblica e aumento delle tasse per ridurre il debito) perseguite dai governi precedenti, inaugurando una politica economica decisamente “espansiva”.
Per il Governo Meloni, invece, la situazione appare diversa. Con la sua prima Legge di Bilancio, infatti, il nuovo Governo ha scelto la strada di una sostanziale continuità con la politica economica del precedente Governo Draghi, di fatto rimandando ad un futuro prossimo l’adozione di scelte che rispondano alle istanze dei mondi produttivi e delle professioni. “È una tisana”, ha commentato il Vicepresidente della Camera Giorgio Mulé, “verrà il tempo delle bevande rivitalizzanti”.
Le ragioni di questa scelta sono diverse. Da un lato, le elezioni svolte in autunno hanno portato il nuovo esecutivo ad insediarsi quando ormai la gran parte della programmazione economica era già impostata. Dall’altro, la necessità di rassicurare: le famiglie e le imprese, sul fronte interno, con misure che compensano gli effetti della crisi energetica, e l’Unione Europea – insieme agli investitori internazionali che comprano il nostro debito – sul fronte esterno, con una gestione oculata dei conti pubblici. Da qui il poco spazio riservato a misure come l’introduzione della finestra per la pensione anticipata a quota 103, o la flat tax per le p.iva estesa fino agli 85mila euro, che rispondono all’esigenza di mantenere promesse fatte in campagna elettorale ma che non rientrano in un pacchetto di misure in grado di incidere sull’economia nazionale. Una manovra conservativa, insomma, varata in attesa di avere margini più ampi a partire dal prossimo anno. Con la speranza che, a quel punto, il capitale politico a disposizione di ogni nuovo governo non abbia però iniziato a consumarsi.