Divieto di prestazioni professionali gratuite, salvo in casi eccezionali e previa motivazione. Il nuovo principio, sancito dal disegno di legge delega per la riforma del Codice Appalti, appena approvato dal Senato, sembra una garanzia, ma potrebbe mettere a rischio l’equo compenso. Che nel frattempo è di nuovo bloccato nelle sacche parlamentari.
Mentre, quindi, il ddl delega che contiene 31 princìpi guida che il nuovo Codice Appalti dovrà seguire per garantire la realizzazione delle opere in tempi brevi, senza contenziosi e senza che gli effetti della crisi mettano in difficoltà le imprese, prosegue la sua corsa verso l’approvazione definitiva, il disegno di legge sull’equo compenso per le prestazioni professionali subisce l’ennesimo stop. Il provvedimento, infatti, resta fermo in Commissione giustizia del Senato che avrebbe dovuto riunirsi già in settimana per proseguire la discussione. Ma nulla di fatto.
In realtà nelle ultime settimane molte sono state le prove di accordo per cercare di non far finire il disegno di legge sul «binario morto»: da un lato si vorrebbe approvare il testo senza modifiche, giacché un eventuale ritorno a Montecitorio in terza lettura potrebbe non avere un buon esito, per la fine della Legislatura nel primo semestre del 2023, dall’altro c’è chi batte sulla necessità di modificarlo per eliminare, tra l’altro, il comma 5 dell’articolo 5 che stabilisce che gli Ordini possano adottare disposizioni deontologiche per sanzionare la violazione, da parte del professionista, dell’obbligo di concordare remunerazioni giuste e proporzionate alla prestazione richiesta.
Se si riuscisse a concordare uno snello «pacchetto» di emendamenti da varare, in Commissione Giustizia al Senato, e si sancisse l’impegno (sottoscritto dai capigruppo dei vari partiti) che alla Camera il testo non verrà cambiato, ma licenziato in tempi brevi (magari, in sede deliberante nella Commissione Giustizia della Camera), la disciplina sull’equo compenso potrebbe terminare la sua corsa con successo.
Nel frattempo dal Senato è arrivato, invece, il via libera alla riforma del codice appalti. A partire dall’entrata in vigore della legge, scattano i sei mesi di tempo, a disposizione del Governo, per l’approvazione del nuovo Codice Appalti. Entro due anni dall’entrata in vigore del nuovo Codice Appalti, potranno poi essere adottati decreti correttivi. Ma gli addetti ai lavori sono già in allarme e hanno espresso dubbi su alcune misure, come la riduzione dei livelli di progettazione e la possibilità di affidare incarichi a titolo gratuito in casi eccezionali.
Una norma che non solo sembra in contrasto con il principio dell’equo ma anche con i recenti provvedimenti sui salari minimi per i lavoratori.
“Si fa un gran parlare di salario minimo ma nessuno, o quasi, pensa ad adeguare i tariffari degli ordini professionali dei consulenti tecnici di ufficio o altro. Sarà nostra premura sottoporre questa necessità ai ministeri competenti”. Lo dichiarano in una nota congiunta Giorgio Silli, iscritto all’ordine dei periti industriali deputato e segretario di presidenza della Camera dei deputati, e Giovanni Esposito, Presidente del consiglio nazionale dei Periti industriali e Periti industriali laureati. “Questo potrebbe essere il momento giusto per rivedere anche i tariffari ministeriali in tema. Non è pensabile che la tariffa oraria a vacazione di un perito industriale possa essere ancora di appena 8 euro lordi. Bisogna avviare una riflessione a livello nazionale e che sia a 360 gradi, ossia verso tutte le categorie, comprese anche le partite Iva perchè anche queste sono i professionisti”, concludono.