I primi passi del nuovo governo
Ci siamo. Il prossimo governo inizia a muovere ufficialmente i suoi passi.In Gazzetta ufficiale, infatti, è arrivata la prima convocazione della nuova Camera dei deputati per il prossimo 13 ottobre, giorno in cui si dovrà votare la presidenza dell’aula di Montecitorio. Intanto, la coalizione vincitrice ha mosso pochi passi istituzionali; Fratelli d’Italia, in particolare, ha limitato le uscite pubbliche, mentre i due partiti di minoranza hanno in qualche modo avanzato delle pretese su vari ministeri.
Intanto, i bookmaker stanno proponendo una serie di nomi per i titolari dei dicasteri, tra cui non mancano anche figure tecniche. Uno dei più gettonati al Mef è Domenico Siniscalco, ex ministro già nel governo Berlusconi. Per gli esteri il nome che si fa è quello di Antonio Tajani, per l’interno (tolto Salvini) si parla del prefetto Matteo Piantedosi.
L’esecutivo dovrà subito confrontarsi con due argomenti caldi, ovvero la legge di bilancio e l’attuazione del Pnrr. Su quest’ultimo punto sono arrivate dichiarazioni contrastanti dal vecchio inquilino di Palazzo Chigi (Mario Draghi) e la futura inquilina (Giorgia Meloni). Quest’ultima, infatti, ha parlato di ritardi che sono sotto gli occhi di tutti e che complicheranno il lavoro del governo, mentre l’ex governatore della Bce ha negato questi ritardi, affermando che nel caso sarebbe stata la stessa Commissione Ue a fermare i fondi.
In ogni caso, l’approccio di Giorgia Meloni verso le istituzioni europee sembra molto più cauto che in passato. Come si poteva immaginare, una volta proiettata verso il ruolo di premier i suoi toni verso le istituzioni sovranazionali sarebbero cambiati rispetto a quelli adottati negli ultimi anni; in un recente tweet, la Meloni ha ringraziato la Von der Leyen per il suo intervento sulle bollette, una posizione che difficilmente la leader di Fratelli d’Italia avrebbe preso. E anche i nomi che girano intorno all’esecutivo, anche molti tecnici come detto, indicano una strada più in linea con i partner stranieri. Probabilmente si vuole evitare l’errore commesso da Salvini che, forse, quando era al governo non era vissuto appieno come un alleato da Ue e Usa.
Una sorta di accreditamento presso le istituzioni internazionali, che permetta al governo di essere più stabile al suo interno per puntare a far durare il più possibile l’attuale esecutivo. Sempre che riesca a mantenere la (già in bilico?) stabilità interna.