Equo compenso, a fine Legislatura si arrivi ad una disciplina più inclusiva della norma

da | 17 Nov 2021 | Il punto

La battaglia politica per l’equo compenso ha assorbito per lungo tempo molte delle energie dei professionisti tecnici. L’abolizione delle tariffe professionali aveva posto il problema di dare il giusto riconoscimento all’attività del professionista. Come RPT, di concerto col Comitato Unitario delle Professioni (CUP), abbiamo condotto un’intensa attività di interlocuzione istituzionale culminata nella manifestazione del 20 novembre 2017 “Equo compenso: un diritto” che vide la partecipazione di circa millecinquecento professionisti al teatro Brancaccio. Molti ricorderanno che, nel corso dell’evento, arrivò la notizia dell’approvazione del provvedimento, diventata definitiva con la legge n.172 del 2017. Quello fu un passaggio fondamentale, un indiscutibile successo per i professionisti italiani, a conferma della validità dell’alleanza tra CUP e RPT culminata poi con la creazione di ProfessionItaliane. Era però solo il primo passo. Il passo successivo sarebbe stata una legge organica in cui fosse definito con precisione l’equo compenso e specificati gli ambiti di applicazione. Gli avvenimenti degli ultimi due anni hanno dimostrato che i passi in avanti registrati in questa direzione non sono ancora sufficienti.

In questo lasso di tempo è mancata una precisa definizione del campo di applicazione del provvedimento. Inoltre, la pandemia ha esposto i liberi professionisti a distorsioni per quanto riguarda i loro compensi. Serve, perciò, una ridefinizione della normativa. Per questo lo scorso giugno ProfessionItaliane ha sottoposto alla Commissione Giustizia della Camera una serie di proposte, tra le quali ci sono le modifiche al disegno di legge in corso di esame alla Camera sull’equo compenso. Esso è un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, oltre che al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, e conforme ai parametri stabiliti con apposito decreto dal Ministro competente. Una delle proposte riguarda le Pubbliche Amministrazioni. Queste, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, devono garantire sempre il rispetto del principio dell’equo compenso, in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in seguito all’adozione ufficiale del provvedimento. Dunque, alle Pubbliche Amministrazioni deve essere vietato l’affidamento gratuito di prestazioni professionali.

Anche in seguito alle nostre pressioni, nel corso dell’estate c’è stata un’accelerazione della discussione. Tuttavia, l’articolo 2 del disegno di legge in discussione in Commissione Giustizia della Camera prevede l’applicazione della norma solo alle imprese che nel triennio precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di sessanta lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro. Questo è un passaggio assai critico perché applicare il provvedimento solo in alcuni casi rischia di creare una distinzione netta fra professionisti tutelati e altri che non lo sono. E’ una stortura che va assolutamente eliminata. Anche perché, in questo modo, paradossalmente si finisce per penalizzare i committenti più deboli e meno informati.

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Di recente, lo scorso 13 ottobre, la Camera ha approvato il provvedimento con un testo che porta come prima firma quello di Giorgia Meloni. Un passo in avanti, certo, ma le questioni poste dai professionisti tecnici restano in piedi. Pesa tra l’altro l’orientamento della giurisprudenza che si sta orientando verso una visione che prevede l’applicazione dell’equo compenso non sulla base dei citati parametri ma in termini di maggiore flessibilità nell’ottica del contenimento della spesa pubblica. In questo contesto si è inserita la recente sentenza del Consiglio di Stato che ha stabilito che la Pubblica Amministrazione può emettere bandi senza necessariamente prevedere un compenso per il professionista. Una decisione inammissibile perché così ancora una volta viene calpestata la dignità dei professionisti, protetta invece dall’articolo 36 della Costituzione. Consentendo l’applicazione dell’equo compenso solo in alcuni casi, si sceglie di mettere ancora una volta in difficoltà i lavoratori autonomi e di creare una netta distinzione fra professionisti tutelati e altri no. Non è giusto che venga richiesto ad alcuni professionisti di prestare la propria opera gratuitamente, perché tutti hanno diritto di trarre dal proprio lavoro i mezzi per il proprio sostentamento.

Questi recenti avvenimenti dimostrano come il diritto del professionista a vedersi riconosciuto un compenso adeguato alla qualità e alla quantità del lavoro svolto non sia ancora pienamente riconosciuto. Noi riteniamo che entro fine legislatura questo problema vada assolutamente risolto. C’è poi un secondo obiettivo: arrivare ad una disciplina più inclusiva della norma, comprendendo tutte le realtà economiche, eliminando le soglie relative al fatturato e ai lavoratori impiegati.

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