“Il contributo dei fondi Ue all’efficientamento energetico delle imprese, sebbene impossibile da rilevare nell’ambito del quadro di monitoraggio esistente, sarà probabilmente modesto”.
E’ la conclusione della relazione speciale “Energy efficiency in enterprises” della Corte dei Conti Ue, secondo cui “i finanziamenti Ue non sono ancora sufficientemente collegati ai bisogni delle imprese”.
Nella relazione, appena pubblicata, la Corte ricorda che, nell’ambito della politica di coesione, la Ue ha stanziato per il miglioramento dell’efficienza energetica delle imprese notevoli risorse tra il 2014 e il 2020, anche se in calo negli ultimi anni: da una dotazione complessiva di 3,2 miliardi di euro nel 2016 si è scesi a 2,4 mld € nel 2020.
Peraltro, la maggior parte di tale spesa si è concentrata in pochi Stati membri, con il 68% dei fondi totali destinai a soli cinque Paesi: Repubblica Ceca (19%), Italia (18%), Germania (13%), Polonia (11%) e Bulgaria (8%).
Sulla base delle informazioni fornite dagli Stati membri, la Corte ha compilato un elenco di oltre 12.000 progetti in 22 Stati membri classificati come di efficientamento energetico (situazione a fine ottobre 2020), rilevando che almeno il 18% dei progetti, rappresentante almeno l’11% dei fondi stanziati, non erano in realtà legati all’efficienza.
In generale, l’analisi dei giudici contabili europei ha evidenziato l’efficienza degli investimenti, dato che dalle proiezioni economiche è risultato più conveniente risparmiare energia che acquistare la stessa quantità.
Tuttavia, la Corte ha riscontrato che la spesa “non è stata sufficientemente integrata nella strategia Ue per l’efficienza energetica”, mentre gli Stati membri hanno stabilito criteri per i progetti che però, da soli, “non hanno portato a una maggiore efficienza”. E’ probabile perciò che il contributo agli obiettivi di efficienza sarà “limitato”.
Gli auditor comunitari sono poi giunti alla conclusione che “la Commissione non ha valutato i potenziali risparmi energetici nelle imprese né il loro fabbisogno di finanziamenti” e che i programmi “non specificano in che modo i fondi contribuiscano alle priorità in tema di efficienza”. In questo senso, “l’utilizzo di indicatori finanziari nel processo di selezione dei progetti avrebbe evitato alcune inefficienze e consentito di scegliere meglio lo strumento di finanziamento più adatto”.
La Corte ha dunque formulato alla Commissione due raccomandazioni.
Innanzitutto, dovrà essere determinato il contributo potenziale ed effettivo all’efficientamento energetico dei fondi della politica di coesione. In particolare, in fase di programmazione (entro il 2022) Bruxelles dovrà verificare il contributo potenziale dei fondi Ue investiti per l’efficienza nelle imprese tenendo conto del fabbisogno di finanziamenti pubblici esplicitato nei Pniec, mentre all’atto della valutazione del periodo di programmazione 2014-2020 (entro il 2024) dovrà stimare l’impatto specifico dei progetti sulle imprese.
La seconda raccomandazione è verificare (entro il 2022) che la scelta dello strumento di finanziamento sia adeguatamente giustificata dagli Stati membri nelle proposte di programma e controllare che non vengano utilizzate sovvenzioni nei casi in cui sarebbe più indicato ricorrere a strumenti finanziari.
Nella sua risposta alla relazione, la Commissione ha accolto la seconda raccomandazione e la parte della prima concernente il periodo di programmazione 2014-2020, mentre per la valutazione dei programmi 2021-2027 l’esecutivo comunitario “stabilirà se i finanziamenti previsti per l’efficienza energetica possano fornire il miglior valore aggiunto possibile, in linea con gli obiettivi e le priorità Ue, nonché con le esigenze e i vincoli nazionali, regionali e locali”. Inoltre, la Commissione valuterà il rispetto della “condizione abilitante” relativa ai Pniec.