Mercoledì 20 luglio: una data che la «galassia» dei liberi professionisti attendeva con trepidazione, perché, come aveva deciso la Conferenza dei capigruppo dello scorso martedì 12, sarebbe approdato nell’Aula di palazzo Madama per il voto il disegno di legge sull’equo compenso. E, invece, a causa dello «strappo» nel governo, consumatosi nella metà della settimana passata (con la scelta del M5s di non partecipare al voto sul «Decreto Aiuti»), in quello stesso giorno il presidente del Consiglio dimissionario Mario Draghi andrà a riferire alle Camere sulle sue decisioni in merito alle sorti dell’Esecutivo. A quel punto, se non venissero alla luce motivi concreti per il prosieguo della XVIII Legislatura, ci si avvierebbe verso le elezioni anticipate, in autunno. Uno scenario che spazzerebbe via una serie di iniziative normative, che la nuova formazione del ministro Luigi Di Maio, Insieme per il futuro, nella rovente domenica appena trascorsa, s’era affrettato ad elencare: non si raggiungerebbero, è stato scritto, gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) necessari per ottenere entro fine anno quasi 22 miliardi di euro ed il taglio del cuneo fiscale, e non potrebbero esser licenziati i provvedimenti contro il caro bollette, mentre salterebbe la trattativa sul «tetto» massimo al prezzo del gas in Ue, né «sarà possibile rifinanziare il Superbonus 110%», è stato precisato.
A stretto giro, nel pomeriggio di ieri, è giunta la rassicurazione da parte del viceministro delle Infrastrutture Alessandro Morelli e del sottosegretario all’Economia Federico Freni, esponenti della Lega, che seguono con particolare attenzione il tema del Pnrr legato alle infrastrutture e alle Olimpiadi ed i provvedimenti economici. «In una fase così delicata, è necessario confrontarsi senza inquinare il dibattito: anche in caso di elezioni anticipate non sono a rischio né l’attuazione del Pnrr, né le Olimpiadi, né tantomeno i fondi contro il caro energia ed il caro carburanti. Il Paese avrà sempre un Parlamento ed un governo in carica: la conversione dei decreti attualmente in Parlamento, così come l’attuazione degli obiettivi Pnrr non è in discussione, né lo sarà nella primavera 2023», era stato sottolineato in una nota congiunta.
Quel che è certo, è che ad essere messi in risalto con preoccupazione (o meno) sul loro percorso sono provvedimenti governativi o, comunque, un «pacchetto» di misure «macro» che dovrebbero alleviare il «peso» dell’inflazione ed avere effetti rilevanti, in generale, sull’economia e sull’ambiente. Nessuno, finora, ha fatto cenno, tra i capitoli da «salvare», ad un disegno di legge di iniziativa parlamentare, quale è quello sulla giusta remunerazione dei liberi professionisti.
Il testo, va ricordato frutto dell’unificazione di proposte normative di Fdi, Lega, Fi e M5s, s’inserisce nel solco della legge approvata nel 2017 su iniziativa del Pd ed allarga la committenza che dovrà rispettare il principio della giusta remunerazione del professionista, giacché vengono inglobate tutte le imprese che impiegano più di 50 dipendenti, o fatturano più di 10 milioni di euro all’anno; l’equo compenso, recita il testo, si applicherà ai rapporti regolati da convenzioni per svolgere, «anche in forma associata, o societaria», attività in favore di «imprese bancarie e assicurative» e loro controllate, oltre che al tessuto aziendale del nostro Paese di medie dimensioni. Già varato alla Camera nell’ottobre del 2021, il disegno di legge, licenziato senza modifiche dalla Commissione Giustizia del Senato a fine giugno, una volta ottenuto il semaforo verde dell’Assemblea, dopodomani, sarebbe finito in Gazzetta Ufficiale. Ed entrato nel nostro ordinamento. Fino a mercoledì, comunque, sulle sorti del provvedimento non è possibile fare altro che pronostici.